Il 27 marzo 2025 è entrato in vigore un decreto-legge fortemente controverso che ha sollevato preoccupazioni tra i giuristi, le comunità italiane all'estero e i discendenti di cittadini italiani: il cosiddetto "Decreto Tajani". Al centro della polemica vi è l'articolo 3-bis, il quale stabilisce che è considerato come "non aver mai acquisito la cittadinanza italiana" chi è nato all'estero, possiede un'altra cittadinanza e non ha presentato la domanda di riconoscimento entro la data del 27 marzo 2025, salvo alcune eccezioni.
Questa disposizione si pone in netto contrasto con principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e con la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale. La norma in questione tenta infatti di negare retroattivamente un diritto che, per sua natura, è originario e imprescrittibile: il diritto alla cittadinanza italiana iure sanguinis.
Secondo l'art. 1 della Legge n. 91 del 5 febbraio 1992, è cittadino per nascita chi è figlio di padre o di madre cittadini italiani. La cittadinanza iure sanguinis non è una concessione dello Stato, bensì un diritto riconosciuto a chi già ne è titolare dalla nascita. Non è il procedimento amministrativo a creare il diritto, ma solo a certificarne l'esistenza.
L'art. 3-bis del decreto, affermando che chi non ha presentato richiesta entro una certa data è come se non fosse mai stato cittadino, viola apertamente:
l'art. 1 della Costituzione (Repubblica democratica e sovranità popolare), che evidenzia che il decreto-legge viola i principi fondanti dello Stato italiano. In particolare:
L'articolo 1 definisce l'identità stessa dello Stato italiano come Repubblica democratica.
Stabilisce che la sovranità appartiene al popolo, e che questa si esercita secondo la Costituzione.
Quindi:
Se un cittadino è nato con un diritto di cittadinanza iure sanguinis, quel diritto fa parte della sovranità popolare.
Negare tale cittadinanza retroattivamente, con un decreto-legge (che è un atto del Governo e non del Parlamento), lede la natura democratica dello Stato, perché toglie al popolo il potere di esercitare i propri diritti secondo Costituzione.
Inoltre, sovverte l'idea stessa di Stato di diritto, in cui le leggi (soprattutto quelle su diritti fondamentali) non possono essere modificate retroattivamente con strumenti d'urgenza.
l'art. 3 della Costituzione (principio di uguaglianza, che garantisce che tutti i cittadini siano uguali di fronte alla legge, senza distinzioni arbitrarie. Nel caso del decreto in oggetto, viene violato poiché si crea una disparità tra chi ha già ottenuto il riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis e chi, pur avendo gli stessi requisiti di nascita, non ha ancora potuto o saputo presentare domanda entro il termine imposto. Questo trattamento diseguale tra situazioni identiche è in netto contrasto con il principio di uguaglianza sostanziale previsto dalla Costituzione),
l'art. 24 (diritto alla tutela giurisdizionale, che garantisce a ogni individuo la possibilità di far valere i propri diritti davanti a un giudice. Il decreto viola questo principio perché nega la possibilità di azionare un diritto già acquisito dalla nascita. Se una legge dice che quel diritto non è mai esistito, il cittadino viene privato non solo del diritto, ma anche del diritto di difenderlo in sede giurisdizionale),
l'art. 77 (limiti all'uso del decreto-legge, che stabilisce che il Governo può adottare decreti-legge solo in casi straordinari di necessità e urgenza. Nel caso del decreto del 27 marzo 2025, non ricorrono tali condizioni: la materia della cittadinanza è già regolata dalla Legge 91/1992, in vigore da oltre trent'anni e pienamente funzionante. Non esiste alcuna emergenza reale che giustifichi l'intervento urgente del Governo. L'uso dello strumento del decreto-legge in questo caso appare quindi arbitrario e contrario ai limiti costituzionali),
il principio di irretroattività delle norme peggiorative in materia di diritti fondamentali, che impedisce al legislatore di applicare retroattivamente nuove leggi che limitano o sopprimono diritti già esistenti. Questo principio è fondamentale per garantire la certezza del diritto e la tutela delle situazioni giuridiche consolidate. Nel caso specifico, il decreto-legge tenta di cancellare un diritto già nato — la cittadinanza iure sanguinis — applicando retroattivamente una nuova regola limitativa, nonostante la materia sia regolata da oltre trent'anni dalla Legge 91/1992. Non esistendo alcuna necessità urgente, l'irretroattività dovrebbe essere pienamente rispettata,
e il principio della certezza del diritto, che rappresenta uno dei capisaldi dello Stato di diritto. Esso garantisce che le persone possano fare affidamento sulla stabilità delle norme giuridiche e sulla prevedibilità delle conseguenze legali delle proprie azioni. Il decreto-legge in esame, tentando di negare retroattivamente la cittadinanza iure sanguinis a soggetti nati con diritto, mina profondamente questa certezza, generando confusione, incertezza e sfiducia nei confronti dell'ordinamento giuridico. In tal modo, viene violata la fiducia legittima del cittadino nella permanenza dei propri diritti fondamentali riconosciuti dalla legge vigente da oltre trent'anni.
Non va inoltre dimenticato che il decreto-legge, secondo l'art. 77 della Costituzione, ha efficacia provvisoria e deve essere convertito in legge entro 60 giorni, altrimenti decade con effetto retroattivo (ex tunc). Ciò significa che, salvo conversione da parte del Parlamento, questo provvedimento è destinato a scomparire come se non fosse mai esistito.
La Corte di Cassazione, con le sentenze gemelle n. 25317 e 25318 del 22 agosto 2022, ha chiarito in modo inequivocabile che la cittadinanza iure sanguinis si acquista a titolo originario per nascita e che tale status è permanente e imprescrittibile. Nessun atto normativo di rango inferiore alla Costituzione può disconoscere o cancellare retroattivamente tale diritto.
Il tentativo di subordinare il diritto di cittadinanza alla presentazione di una domanda entro un termine imposto ex novo rappresenta una violazione manifesta dei diritti quesiti, tutelati non solo dalla Costituzione italiana, ma anche dal diritto internazionale.
In conclusione, l'art. 3-bis del decreto del 27 marzo 2025 rappresenta un grave attacco ai principi democratici e costituzionali della Repubblica Italiana. La sua eventuale conversione in legge sarebbe suscettibile di essere impugnata davanti alla Corte Costituzionale per manifesta incostituzionalità. Fino ad allora, resta dovere di tutti difendere il valore del diritto di cittadinanza come espressione della continuità storica e giuridica del legame tra l'Italia e i suoi figli nel mondo